Onorevoli Colleghi! - L'istituzione del difensore civico nazionale e l'organizzazione della rete dei difensori civici regionali e locali, prevista dalla presente proposta di legge, già presentata nella precedente legislatura, hanno la loro ragione fondamentale nelle riforme approvate, dalla maggioranza di centro-sinistra, nella XIII legislatura: dalla riforma «Bassanini» all'opera di ammodernamento della pubblica amministrazione. Tale processo ha subìto un grave e profondo arresto nella XIV legislatura, per responsabilità della coalizione di centro-destra: con riforme ordinarie, scelte amministrative, provvedimenti delegati che si sono ispirati ai medesimi non condivisibili princìpi posti a fondamento della riforma della parte seconda della Costituzione, sostenuta dall'allora maggioranza di centro-destra e che sarà tra breve sottoposta al giudizio dei cittadini attraverso il referendum costituzionale.
      L'istituto del difensore civico - nato nel lontano 1809 in Svezia con la peculiare caratterizzazione di commissario parlamentare (Ombudsman) - è ormai presente in quasi tutti i Paesi europei. Ne sono sprovvisti con l'Italia solo il Belgio (ove per altro ciascuna delle due comunità linguistiche ha il proprio mediateur), la Germania, la Grecia e il Lussemburgo, dove per altro è stato diversamente disciplinato il «diritto di petizione» e dove sono attivi i «mediatori» per settori specifici.
      La situazione di distinzione e di carenza dell'Italia è ora resa più evidente dopo che nel settembre del 1995 lo stesso Parlamento europeo ha istituito e nominato il mediatore europeo, chiamato ad intervenire nei casi di «cattiva amministrazione nell'azione delle istituzioni comunitarie».
      È pur vero che nel testo unico sull'ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo n. 267 del 2000, all'articolo 11

 

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si fa cenno al difensore civico, attribuendo a comuni e province la «facoltà» di attivare detto istituto. Ma a tutt'oggi gli effetti prodotti dalle autonome decisioni degli enti locali sono irrilevanti: solo poco più di un centinaio di comuni su oltre 8 mila e una decina di province hanno istituito un difensore civico locale.
      Hanno invece assunto una funzione di anticipazione e di sostituzione significativa le regioni che autonomamente hanno istituito il difensore civico regionale: per prima la Toscana nel 1975 e da ultimo l'Abruzzo nel 1995. A oggi quasi tutte le regioni hanno operante un difensore civico.
      L'approvazione di una legge istitutiva del difensore civico nazionale consentirebbe di colmare questo gap, di costituire un interlocutore nazionale per la corrispondente autorità dell'Unione europea e degli altri Paesi dell'Unione; ma soprattutto consentirebbe di dare generalità, visibilità, certezza a tutti i cittadini italiani di potersi avvalere di un servizio di tutela esercitabile nei confronti di tutte le amministrazioni pubbliche, superando quelle limitazioni e parzialità - soprattutto nei confronti degli uffici periferici dello Stato - cui finora sono incorsi i difensori civici regionali, pur nel lodevole sforzo di sostituzione con cui finora hanno operato.
      Contestualmente, si è preso atto del lavoro propositivo già avanzato da altri colleghi e del confronto qualitativamente alto e unitario che nella XIII legislatura la Commissione affari costituzionali della Camera dei deputati aveva avviato.
      Per questa ragione, in base alle necessità di organicità emerse, e nel rispetto dei princìpi di autonomia delle regioni e degli enti locali sanciti con vigore dalla legge n. 59 del 1997, si era tentato con la presente proposta di legge di seguire la strada di una legge organica per disegnare un sistema di difesa civica, lasciando alle regioni e agli enti locali le relative normazioni, ma garantendo omogeneità di intervento e coordinamento complessivo della funzione sull'intero territorio nazionale.
      È quindi quanto mai opportuno che si giunga finalmente a superare l'attività di supplenza che le regioni hanno svolto. Proprio i risultati finora conseguiti dai difensori civici regionali da un lato costituiscono un patrimonio di esperienze positive, dall'altro evidenziano - specialmente in parte del Mezzogiorno (e cioè in aree del Paese ove più debole e fragile pare essere la presenza dello Stato) - l'esistenza di una domanda inevasa e di un vuoto da colmare.
      Così come appare velleitaria l'ipotesi dell'articolo 11 del citato testo unico di cui al decreto legislativo n. 267 del 2000, che estende l'opportunità (facoltativa) per tutti gli enti locali - anche quelli con cento abitanti - di istituire l'ufficio.
      È quindi evidente l'esigenza di dare all'istituto della difesa civica compiutezza, piena estensione, efficace legittimazione nello svolgimento delle funzioni sia di tutela (che deve poter riguardare la generalità dei cittadini), sia di controllo e di stimolo (che deve potersi estendere a tutte le pubbliche amministrazioni).
      È quindi da sottolineare un'altra ragione rilevante per l'adozione di una simile normativa: l'obiettivo di consentire a ciascun cittadino e nei confronti di ogni pubblica amministrazione di potersi avvalere dell'opportunità di un servizio «amico», quale tutore nei casi di «cattiva amministrazione» e quale promotore del «buon andamento e dell'imparzialità della pubblica amministrazione». Infatti, in tutte le moderne ed avanzate democrazie, al crescere della quantità e complessità delle funzioni pubbliche nelle relazioni sociali si accompagna e si definisce l'esigenza di una tutela anche «non giurisdizionale» (e perciò concomitante e non successiva, persuasiva più che sanzionatoria) per le persone nei confronti di atti o comportamenti lesivi dei diritti, da parte delle pubbliche amministrazioni.
      Tale forma di tutela ha un duplice vantaggio. In primo luogo consente una tutela anche a quei soggetti marginali che, incapaci o impossibilitati a seguire un percorso giurisdizionale, sarebbero condannati a subire un sopruso (qualcuno ha
 

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efficacemente sostenuto che le porte dei tribunali sono sempre aperte come quelle del Grand Hotel, peccato che non tutti possano varcarle); in secondo luogo può ragionevolmente rappresentare un'alternativa al tribunale, capace di contenere il carico giurisdizionale che, anche alla luce della giusta decisione del Parlamento di andare ad un superamento dei controlli preventivi di legittimità, sarà tendenzialmente e presumibilmente da prevedere in forte aumento.
      Con una legge quadro come quella che si propone, si intende dare una configurazione di poteri, prerogative e forme di azione, aggiornata, moderna e coerente ad un istituto nuovo nel nostro ordinamento, ma suscettibile di svolgere, anche alla luce di esperienze regionali e straniere, una positiva azione di contemperamento, di equilibrio, di attenuazione del conflitto ricorrente fra cittadini e pubbliche amministrazioni, via via crescente con l'aumento delle funzioni esercitate dai pubblici poteri.
      Tutte le ragioni innanzi evidenziate depongono per la necessità della presente proposta di legge, la quale si caratterizza per la adozione - fra le altre - di alcune impostazioni rilevanti, desunte - oltre che dalla evoluzione della dottrina - dalla riflessione sulle analoghe esperienze di altri Paesi e dalla considerazione critica sull'apporto legislativo e sulle conseguenti pratiche di svolgimento della difesa civica, maturate dalle regioni in quasi un ventennio di attività.
      L'approvazione di una legge quadro dello Stato non comporta la soppressione dei difensori civici regionali attualmente istituiti né una loro subordinazione al difensore civico nazionale che si intende istituire. Anzi, in ottemperanza al principio di sussidiarietà stabilito dalla legge n. 59 del 1997 si prevede una netta distinzione delle competenze, una non ingerenza reciproca e addirittura meccanismi convenzionali di cooperazione, laddove si prevede che il difensore civico nazionale possa avvalersi di quelli regionali per l'esercizio delle sue funzioni nei confronti delle strutture periferiche dello Stato. I difensori civici regionali continueranno ad operare del tutto autonomamente, in conformità alle rispettive leggi regionali, per quanto riguarda uffici e servizi della regione.
      Per quanto attiene ai difensori civici locali, anche alla luce degli esiti parziali finora prodotti dalla facoltà degli enti locali di istituire l'ufficio, la proposta di legge prevede l'abrogazione dell'articolo 11 del testo unico di cui al decreto legislativo n. 267 del 2000, e una nuova normazione specifica che, visto il ruolo rilevante che si intende affidare al difensore civico, prevede una formula di adeguamento e di ottimizzazione organizzativa basata sulla provincia, autonomamente definita con l'unica garanzia imposta dalla legge dell'introduzione di meccanismi che garantiscano la partecipazione degli enti minori.
      A riguardo dell'identità del difensore civico (funzioni, ambiti e modalità di intervento, prerogative), la proposta di legge tiene conto delle formulazioni più moderne e più consolidate dall'esperienza. Fra queste merita ricordare il ruolo del difensore civico per rendere effettivi i princìpi ispiratori e i diritti affermati nelle più importanti leggi di riforma (legge n. 241 del 1990, decreto legislativo n. 165 del 2001, carta dei servizi, eccetera): la partecipazione, la tempestività, l'efficienza e l'efficacia dell'azione amministrativa. Ma ancora di più merita ricordare l'attenzione prestata per rendere garantiti ed esigibili i diritti dei cittadini più deboli, ipotizzando una peculiare funzione del difensore civico quale promotore e garante di comportamenti ispirati ad umanità, sollecitudine, ragionevolezza ed equità. È una impostazione che trova la sua origine in una lettura avanzata dei princìpi costituzionali (le pubbliche amministrazioni come «funzione» dei diritti fondamentali dei cittadini e il difensore civico come promotore della capacità di esercitarli), ma che trova riscontro anche nelle legislazioni recenti di altri Paesi europei (Francia e Spagna).
      Per quanto attiene ai poteri di intervento, escludendo l'ipotesi di invasione del campo della giurisdizione o di quello dell'amministrazione, si è ritenuto di affidare
 

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al difensore civico - oltre ai poteri ormai ampiamente riconosciuti di conoscenza, istruttoria, informazione - qualche più incisiva capacità di intervento dissuasivo- persuasivo (sia prevedendo l'obbligo per le pubbliche amministrazioni di collaborare con il difensore civico, sia attribuendo a lui la facoltà di chiedere - fino a nominare direttamente in caso di inerzia - il commissario ad acta ed eventuali sanzioni economiche o disciplinari in caso di comportamenti scorretti da parte di pubblici operatori, sia configurando l'ipotesi di reato di omissione in caso di rifiuto alla collaborazione) nonché un potere di mediazione e conciliazione tra le parti. E tra queste parti vi è anche l'ente pubblico (o l'ufficio pubblico) che può adire il difensore civico nei confronti di altro ente o ufficio che risulti inadempiente o che non consenta all'ente ricorrente di esercitare il proprio diritto-dovere. Tale possibilità è quanto mai opportuna in una fase storica in cui si tende ad enfatizzare l'autonomia del singolo ente (ed in particolare dell'ente locale).
      Infine, seguendo i modelli adottati dalla quasi totalità delle legislazioni straniere, si è ritenuto di prevedere il procedimento di nomina del difensore civico nazionale e dei suoi aggiunti, la caratterizzazione dei requisiti, l'assetto di organizzazione dell'ufficio, il sistema delle relazioni istituzionali a cui il difensore civico è tenuto, tali per cui risulti chiara e rigorosa la scelta del radicamento dell'istituto presso il Parlamento, che sceglie il difensore civico per le sue indiscutibili qualità di competenza, di indipendenza e di moralità che caratterizzano il designato.
      La ricerca - avviata con la legge n. 241 del 1990 e proseguita con altri importanti atti normativi sino all'introduzione del processo sistematico di delegificazione di cui alla legge n. 59 del 1997 - volta a dare alle pubbliche amministrazioni requisiti di efficienza, responsabilizzazione, trasparenza e partecipazione, è stata una scelta importante e positiva. E tuttavia è diffusa la convinzione sia che la riforma del procedimento amministrativo abbia bisogno di sostegno e verifiche, sia che permangano ambiti significativi di istanze e di esigenze meritevoli di tutela non giurisdizionale, per i quali il difensore civico può rappresentare una risposta adeguata, moderna, colloquiale e particolarmente attenta ai risvolti umani del diritto. Soccorre a questo riguardo il valore del richiamo all'impostazione solidaristica della nostra Costituzione; ma, assieme ad essa, una concezione serena, mite del diritto, nonché l'esigenza di rendere i criteri di buon andamento ed imparzialità della pubblica amministrazione funzionali alla soddisfazione dei diritti dei cittadini e alla promozione della capacità di esercitarli. In tale modo si può concorrere a far sì che il cittadino sia sempre più protagonista attivo nella vita delle istituzioni e della società.
      È per questo che l'istituzione del difensore civico e la configurazione della sua identità quale magistrato di persuasione possono concorrere - assieme ad altre formule di giustizia nell'amministrazione - a rendere più confidenziale il rapporto tra cittadini e amministrazione; possono alleggerire il peso del contenzioso giurisdizionale amministrativo; possono infine rafforzare il consenso dei cittadini verso le istituzioni attraverso la partecipazione attiva di essi al procedimento.
      In ultimo, è opportuno notare come la presente proposta di legge tenda a rispettare in toto l'autonomo potere organizzatorio delle regioni e degli enti locali.
 

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